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Home Page > PATERNITÀ > Articolo Inserito il  08/05/2013

Nessun padre mette al mondo un figlio se da esso non viene a sua volta messo al mondo  
Paternità Oggi - Nessun padre mette al mondo un figlio se da esso non viene a sua volta messo al mondo

"N.d.R. Nel web ho trovato questo articolo davvero interessante, che parla della figura paterna da un punto di vista storico ma anche psicologico. Non è il solito testo che si trova sulla paternità. E' sicuramente più complesso ma decisamente esauriente"

Abbiamo visto come l'avvento della rivoluzione industriale abbia provocato la dissoluzione della struttura patriarcale ed autoritaria della famiglia per cui si è passati «dal "pater familias", che aveva diritto di vita e di morte su moglie e figli, al padre-padrone dei tempi delle ferriere, quando la famiglia era un'azienda che doveva produrre risorse e valori indiscutibili, al padre impiegato di oggi con funzioni di amministratore finanziario» (come dice Redigolo), sempre più assente e sempre più lontano nell'educazione dei figli.

«Depositario del potere, incarnazione del dovere, detentore di un ruolo etico normativo, a lui spettava trasmettere alle generazioni future norme e costumi sociali, mentre la madre svolgeva una funzione essenzialmente affettiva, quella di modulare cioè gli scambi comunicativi e relazionali nell'ambito della famiglia. Le famiglie avevano elaborato per secoli complessi sistemi di trasmissione dell'eredità e del potere che puntavano alla salvaguardia del patrimonio, alla salvaguardia di ciò che il padre possedeva, di ciò che il padre era e impersonava.

Nel passato, fa notare Redigolo, figli cadetti e figlie diventavano "orfani" prima ancora della morte del padre e il loro era un destino di recupero, incerto e penalizzante: potevano diventare monaci o cavalieri, servire a matrimoni di comodo o andare all'avventura. In tutti i casi dovevano "uscire di casa" per volere di un padre che li trattava come strumenti del suo potere, sia pure con tutte le attenuanti di una sensibilità cristiana che progressivamente introduceva dei correttivi alla ferocia dei tempi».

Questa figura paterna, autoritaria e normativa rigida nell'adempimento del compito che la cultura contemporanea gli affidava (il padre "edipico" così definito da Freud) non poteva che crollare con l'evoluzione dei tempi e soprattutto negli ultimi decenni, a partire dagli anni '60. Le lotte studentesche del '68 contro l'autoritarismo del sistema scolastico prima e del sistema socio-familiare poi, le lotte sindacali contro i padri padroni, gli slogan della rivoluzione sessuale, ma soprattutto il ripudio da parte degli attuali giovani genitori di identificarsi con la figura paterna autoritaria e inaffettiva della propria infanzia hanno infatti definitivamente decretato la "morte" del ruolo paterno classicamente inteso. Questa nuova generazione di genitori ha addirittura, pur di non ricalcare le orme del passato, abdicato al proprio ruolo.

L'attenuarsi prima e la scomparsa poi delle tensioni emotive del '68 (quando si parlava - vi ricordate?- della fantasia al potere), la delusione cocente nel ritrovarsi in una società che aveva sostituito gli ideali sessantottini (certamente non tutti condivisibili, ma pur sempre "ideali") con un consumismo sfrenato in un impoverimento e appiattimento culturale basato sul conformismo e in nuove forme di qualunquismo, hanno fatto riemergere la famiglia come ambiente protettivo e sicuro in cui soddisfare i bisogni affettivi, economici e sociali.

E' così risorta la famiglia, ma con funzioni diverse rispetto al passato. Non più ispirata ad un modello etico normativo -impersonato dal padre -, ne ad un atteggiamento di "svezzamento precoce" nei confronti dei figli, ma tendente a mantenere nei loro confronti una situazione di protezione, di appartenenza, di controllo e di autentica formazione.

È stato ritrovato e riqualificato il ruolo materno, rinnovato per le nuove esigenze, ma non è stato "ritrovato" il padre, che si è dato alla "fuga dalle responsabilità", alla latitanza educativa e formativa.

E la sofferenza del padre oggi, in alcuni vissuta addirittura in maniera angosciante, è proprio quella di ritrovare e di darsi una nuova dimensione, di ridefinire il proprio ruolo.

Ci si rende conto, infatti, dagli studi psico-sociali che proprio la crisi del ruolo paterno tradizionale ha provocato fenomeni come la "famiglia lunga", l'adolescenza interminabile dovuta alla difficoltà di separarsi da un ambiente che sembra promettere perennemente affetto, protezione, soddisfacimento dei bisogni.

In questa ricerca si stanno attuando diverse tendenze perché non si è ancora pervenuti, data anche la trasformazione in atto della società, con la conseguente crisi (evolutiva) ad essa connessa, ad una nuova definizione del ruolo, ad un nuovo "identikit" del nuovo padre.

C'è infatti chi mira a riappropriarsi del ruolo di un tempo, imponendo nuovamente la propria superiorità, chi invece "abdica al ruolo" ritenendo inutile la propria presenza, limitandosi a svolgere funzioni di sostegno economico e c'è chi invece, più consapevolmente cerca un'intesa con la moglie per gestire meglio la famiglia e soprattutto di vivere di più in famiglia, di approfondire le conoscenze pedagogiche e psicologiche, le dinamiche di sviluppo dei figli.

Per offrire spunti di riflessione, ripartiamo dalle ricerche psicologiche effettuate da autori, già citati nel precedente incontro, che hanno operato a partire dagli anni '50-'60.
Alcune di queste posizioni potrebbero sembrare superate o anacronistiche, ma ritengo utile riportarle proprio come spunti di riflessione e dibattito.

Dato che compito fondamentale della famiglia è la creazione di una atmosfera di serenità e di sicurezza, il primo dovere che si richiede al padre è quello di sostenere la madre, nel farle acquisire cioè sicurezza e serenità che trasmetterà poi al bambino. Bertin (Educazione alla socialità. Armando - Roma 64) sostiene infatti che una madre che non si senta amata e sicura non potrà che offrire al bambino delusione e insoddisfazione.

Il primo aspetto, quindi, del ruolo paterno potrebbe trattarsi di un "ruolo indiretto": esercitare il suo influsso attraverso la madre; successivamente però questo sarà diretto, e sarà secondo il POROT * in "L'enfant et ses relations familiales"
"Preciso, breve, fermo, immediato, misurato".
"Preciso: nel senso che. deve applicarsi al fatto circostanziato ed attuale senza rivangare il passato o addirittura in previsione futura".
"Breve: con discorsi e correzioni concise".
"Fermo: in quanto ogni decisione presa va attuata senza proporzionato, ma senza rigore".
"Immediato e misurato, proporzionato alla personalità del bambino"

L'Osterrieth ** delinea gli aspetti propri del ruolo paterno
a) II padre rappresenta la realtà esteriore, l'anello di congiunzione col mondo esterno, col mondo delle relazioni personali extradomestiche, per cui suo compito è sollecitare le curiosità del figlio, eliminando timori inopportuni e titubanze inespresse, e offrirsi successivamente come modello per conoscere le cose e avviare le relazioni interpersonali, favorendo lo sviluppo dei tratti caratteristici del loro sesso, esaltando la virilità nel figlio e la femminilità nella figlia.

b) II padre esercita l'autorità familiare: pur senza diminuire o svilire l'azione educativa e formativa della madre il padre deve assumere il suo ruolo guida, che è di natura funzionale , educativa e politica. Ruolo, cioè, che non si pone come superiore ad altri, ma "esercitato" - precisa l'Isambert -da un essere libero su altri esseri liberi, nel pieno rispetto della loro personalità. «Deve partecipare sempre più attivamente agli interessi dei figli, alle loro gioie, alle loro apprensioni, alle difficoltà del loro sviluppo».

c) «II padre amministra nella famiglia la giustizia» II prof. Galli, riferendosi all'OSTERRIETH, dice che "ad una prima impostazione esteriore della disciplina, deve subentrare una disciplina interiore, compresa dal soggetto come strumento di liberazione, mirando cioè a favorire l'autocoscienza e l'autocontrollo».
Questo ruolo va svolto mirando allo sviluppo della interiorità spirituale, all'attuazione dei tratti umani, rispettando le caratteristiche peculiari dell'educando.
Anche il ricorso alle punizioni, al castigo, va fatto con precauzione, senza svilire ne scoraggiare il fanciullo, nella convinzione che il ricorso abituale al castigo significhi il fallimento dell'opera educativa.

Altro aspetto del ruolo su cui punta la psicopedagogia "classica", è che il padre debba orientare il figlio al mondo dei valori.

Dalle ricerche effettuate si nota come sia profonda l'influenza del padre nell'orientare i figli nel settore dei principi, delle leggi generali, delle obbligazioni morali, soprattutto con i suoi atteggiamenti concreti nei confronti della vita, del mondo, nelle relazioni con gli altri.

Ugualmente avviene nel campo religioso ed etico-morale, così come rilevato anche da studi promossi dall'O.M.S., che hanno rivalutato il ruolo educativo del padre.

Un genitore che agisca dispoticamente, che si manifesti emozionalmente insoddisfatto e frustrato, ostacola i processi elaborativi dei figli e provoca destrutturazioni nella loro personalità.
Ricerche psico-cliniche hanno evidenziato inoltre gli effetti traumatici provocati dall'assenza del padre.

Quella reale, comunque dovuta, lascia traccia nei processi identificativi del fanciullo; provoca reazioni aggressive e depressive, stati di ansia e di insicurezza, sentimenti di inferiorità che porta spesso alla creazione mitica di un padre immaginario o sospinge la madre ad assumere atteggiamenti di iperprotezione o funzioni proprie del ruolo paterno.

Anche nelle più recenti indagini (psico-sociologiche, psico-analitiche, pedagogiche) pubblicate alla fine del '94, si è rilevato come, sia pure con forme meno normative e con linguaggi più articolati, il ruolo del padre è essenzialmente quello descritto o prescritto dalla psico-pedagogia "classica" e poco fa delineato.

Il padre non può defilarsi. Si può divorziare dalla moglie, ma non lo si può dai figli. I guasti provocati dall'assenza o latitanza patema vengono a galla spesso nel momento più critico e delicato dello sviluppo: nell'adolescenza, cioè.

«L'adolescente in crisi - riporto testualmente dal libro di Charmet e Riva - spesso usa le maniere forti. Se desidera il ritorno del padre sente che è necessario convocarlo con un richiamo che possa servire allo scopo; generalmente si tratta di comportamenti discretamente trasgressivi; quel tanto che basta per costringere la madre a gettare la spugna ed invocare ella stessa il ritorno del padre sulla scena educativa.

Convocato dal figlio attraverso messaggi perentori (insuccesso scolastico, odore di droga, frequentazioni a rischio, incidenti sociali di vario tipo, forti tensioni domestiche) ricattato dalla moglie che minaccia di mettersi in cassa integrazione materna se non viene immediatamente sostenuta, generalmente il padre rientra nel suo ruolo in modo disastroso. Non avendolo fatto a tempo debito, non riesce ovviamente a recitare la propria parte, quella che figlio e madre si aspettano e si rifugia nell'imitazione grossolana e non convincente del ruolo del padre autoritario; ci vuoi altro - dicono gli autori - con i tempi che corrono; non è più tempo di padri autoritari; o quantomeno, non ci si può improvvisare in una parte tanto ardita che richiede tempre fortissime ed una non comune tolleranza della solitudine e spesso dell'odio dei figli e della moglie.

L'uomo che si fa padre in questi anni ha una grande libertà nel gestire il proprio ruolo, tranne la possibilità di rimettere in scena la figura del padre padrone. Ne i figli, ne la moglie, ne la società lo consentirebbero; verrebbe anzi denunciato al tribunale per minorenni per maltrattamenti, quantomeno morali, della moglie e dei figli.

Facciamo ora qualche altra riflessione prendendo spunto ancora una volta dal testo "II libro della famiglia".

Quando si diventa padre?
Una volta si rispondeva: al momento della fecondazione, dando al ruolo sessuale una importanza straordinaria: l'uomo mostrava la propria virilità e acquistava potere nei confronti della madre e del nascituro.
Le nuove tecniche di fecondazione (discutibili quanto si voglia) hanno messo in crisi questo potere, riconoscendo invece che i protagonisti sono solo due: la madre e il bambino, che sono autonomi e autosufficienti.
E allora - interessante quanto sostiene Redigolo - bisogna rovesciare la situazione: nessun padre mette al mondo un figlio se da esso non viene a sua volta messo al mondo.

Ed è proprio nell'attesa dell'evento, che il padre deve prepararsi ad essere tale. Deve "mettere in gestazione" se stesso, fino a quando non sarà scoperto come tale dal figlio, dopo che avrà operato la scelta di vita di voler "fare" il padre: «uno - cioè - che si reinventa come uomo, accanto e al servizio di un altro uomo, che a sua volta è impegnato ad umanizzarsi...

...Farsi padre significa scegliere di mettersi a disposizione di una persona non ancora in grado di badar a se stessa, ma che deve acquisire gli strumenti per farlo.

In un primo momento, come si è detto, aiuta e protegge la madre impegnata a soddisfare bisogni primordiali del neonato: mangiare, dormire, difendersi dal dolore, muoversi.
L'essere presente e partecipare ad es. al cambio dei pannolini, a somministrargli il biberon, a farlo addormentare, infonde nel piccolo madre-dipendente fiducia e sicurezza.

In un secondo momento deve aiutarlo a distaccarsi dalla madre, a farlo uscire "dalla logica ristretta del bisogno per fargli assaporare il gusto della libertà", a diventare autonomo.
Ed è proprio in questi momenti che la figura patema acquista un ruolo fondamentale.
Il figlio, dopo gli inevitabili rifiuti, le disobbedienze, gli errori propri di chi incomincia a far da solo e a "crescere", incomincia a proporsi come modello, cioè come chi ha una visione del mondo che può essere attuata e verificata, come chi infonde fiducia in sé, rispetta la libertà, ma contemporaneamente offre aiuto e punti di riferimenti certi.

Proprio quando il figlio è diventato autonomo il padre ha una dimensione tutta sua, diventa importante, viene riconosciuto come tale.

Il suo ruolo quindi è quello di fare in modo che il figlio diventi "persona", capace di scelte autonome, in grado di camminare da solo. E il percorso è difficile, pieno di difficoltà. È un riqualificarsi continuamente, comprendere le necessità del figlio che cresce, accettare le "sfide" adolescenziali, discutere con lui nelle scelte, saper ragionare e insegnar a ragionare, sapersi adeguare alla evoluzione dei tempi, senza rinunciare però ai principi ed ai valori ritenuti validi, ma senza neanche mitizzarli e assolutizzarli.

È il metodo socratico della educazione. Crescere con il figlio, coglierne le esigenze, la creatività, aiutarlo a soddisfarle in un continuo processo di maturazione e di umanizzazione nel senso pieno del termine.

La soddisfazione più grande di un educatore consentitemi questo esempio, è quello di vedere un proprio allievo diventare capace di procedere da solo negli studi senza aver bisogno continuamente di far ricorso al suo aiuto; essere stato capace, cioè, di fornire all'allievo, non tanto e non solo un complesso di nozioni e di contenuti, ma di sviluppare in lui le capacità per poterli acquisire in maniera consapevole, autonoma, critica.
Parafrasando un proverbio cinese: all'allievo pescatore non bisogna fornirgli il pesce, ma insegnargli a pescare di più e meglio del proprio maestro.

Ecco, così vedrei realizzato al meglio il ruolo del genitore: fare in modo che il figlio possa essere capace di andare avanti da solo, di aver imparato a diventare uomo.

Note
POROT: L'enfant et ses relations familiales. Paris P.U.F 63
OSTERRIETH: «De l'importance des ròles parentaux pour'la personahte deTentane Bullettin du Centre d'Elude e de la Documentation socÌZ - Liege 54 - n. 6. L enfant et la famille. Paris 63: Editions du Scarabée.
Libro della Famiglia, p. 141.

fonte: consultorio-famiglia-giovani.it
articolo di VINCENZO DI GIRONIMO
 
 



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