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Home Page > PATERNITÀ > Articolo Inserito il  07/06/2010

Paternità: pensiero sui padri separati, di Ubaldo Sagripanti  
Paternità Oggi - Paternità: pensiero sui padri separati, di Ubaldo Sagripanti

 "Alla redazione di Paternità Oggi ci è giunta la segnalazione di questo testo. Si parla di paternità, facendo riferimenti storici, psicologici e sociali. Davvero interessante come punto di vista"

“…Come un miserabile e buon gatto aspetta - Dipinge Pasolini in un frammento del Padre Nostro che sei nei Cieli - gli avanzi sotto il tavolo”: questo gatto s’addice al padre separato d’oggi, il verso asciutto ne presenta la catastrofe.

Negli ultimi mesi sono state aperte due case per padri separati a Roma e Milano, strutture che permettono loro di incontrare i figli sotto un tetto recependo la loro necessita' di nuovi poveri.
Recentemente si e' iniziato a parlare dell’argomento attraverso i media, ma credo che ogni psichiatra italiano abbia tra i propri pazienti qualcuno di questi padri gia' da tempo. Le relazioni tra stress, eventi stressanti e disturbo psichiatrico sono note sotto ogni punto di vista ma, ciò che piu' colpisce di questa particolare popolazione di soggetti a rischio, e' la naturalezza con cui il senso comune li omologa in una sorta di destino naturale. Fuori dal coro ci sono voci che sollevano il problema, e cercando nella Rete si scoprono iniziative e associazioni, peraltro molto attive, che tuttavia lottano con una grande inerzia per non dire un franco rifiuto d’ascolto.

Dato questo stato delle cose credo che l’espressione catastrofe del padre non sia retorica, ma adeguata a unificarne i diversi significati. Nel paradosso mediatico espressioni come “societa' senza padri” e' gia' abusata; la letteratura psicanalitica e' satura della figura paterna, storia tradizione e cultura occidentale lo sono altrettanto, ma di fatto, nessuno vuole vedere rifugiandosi in un “come se” fosse gia' stato visto. Invece no!

La fenomenologia del padre di oggi e' qualcosa di completamente nuovo e diverso rispetto a quella del padre tramandatasi con sostanziale coerenza fino al ’68; ne consegue che si parla di una figura che non esiste piu', la cui ombra oscura gli attuali interpreti della paternita' che lottano con lei, con l’interpretazione del ruolo attuale e con la rimozione collettiva, se non con la negazione della loro identita'.

In questo contesto si ripropone il quesito di Freud: “ C’e' una domanda che mi e' difficile eludere. Se l’evoluzione della civilta' e' tanto simile a quella dell’individuo… non e' forse lecita la diagnosi che talune civilta', e forse l’umanita' tutta, sono diventate nevrotiche? Dalla dissezione analitica di queste nevrosi potrebbero derivare suggerimenti terapeutici di grande interesse pratico”. In una ipotesi di analisi del fenomeno culturale, per iniziare porrei alcune domande: come può essersi verificato in pochi anni il mutamento radicale di una figura paterna tramandasi per millenni? E' un sintomo, un segno, o per quanto brusca, una fisiologica fase evolutiva? La sofferenza individuale dei padri separati di oggi e' eguagliabile a quella dei loro predecessori? I figli di questi padri-miserabili-buoni-gatti, che non avranno alcun Re Laio da uccidere, che padri saranno?

Muovendo da quest’ultima domanda sul futuro suggerisco una possibile analisi del presente con lo sguardo di Pasolini sui giovani ( i capelloni ) dei primi anni ’70, dal “discorso” dei capelli, Corriere della sera del 7 gennaio 1973: “ Noi siamo due Capelloni.
Apparteniamo a una nuova categoria umana che sta facendo la comparsa nel mondo di questi giorni, che ha il suo centro in America e che, in provincia (come per esempio anzi, soprattutto – qui a Praga ) e' ignorata. Noi siamo dunque per voi una Apparizione.

Esercitiamo il nostro apostolato, gia' pieni di un sapere che ci colma e ci esaurisce totalmente.” Da questa “Apparizione” descritta nel ’66-67 e attraverso la sua analisi del fenomeno, Pasolini termina con: “Concludo amaramente. Le maschere ripugnanti che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come le vecchie puttane di una ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre. (…) Cioe' la condanna radicale e indiscriminata che essi hanno pronunciato contro i loro padri - che sono la storia in evoluzione e la cultura precedente – alzando contro di essi una barriera insormontabile, ha finito con l’isolarli, impedendo loro, coi loro padri, un rapporto dialettico. Ora, solo attraverso tale rapporto dialettico – sia pur drammatico ed estremizzato – essi avrebbero potuto avere una reale coscienza storica di se', e andare avanti, « superare » i padri.
Invece l’isolamento in cui si sono chiusi – come in un mondo a parte, in un ghetto riservato alla gioventu' – li ha tenuti fermi alla loro insopprimibile realta' storica: e ciò ha implicato – fatalmente – un regresso. Essi sono in realta' andati piu' indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi,e, nel loro aspetto fisico, convenzionalita' e miserie che parevano superate per sempre. (…) e' giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi e' orribile, perche' servile e volgare. Anzi, e' giunto il momento che essi se ne accorgano, e si liberino da questa loro ansia colpevole di attenersi all’ordine degradante dell’orda
”.

Ora, i giovani che si erano isolati e che, nella loro ansia colpevole, si attenevano all’orda sono coevi di quella generazione oggi tra i 60 e 70 anni di cui fa parte la classe dirigente artefice dell’attuale speculazione finanziaria che flagella l’economia reale di intere nazioni come una vera e propria orda barbarica.
I figli di questi tempi non dovranno pronunciare alcuna “ condanna radicale e indiscriminata contro i loro padri”, la rimozione collettiva ha li gia' ha derubati del problema trasformando i Padri in questi padri-miserabili-buoni-gatti. Pasolini, come Lacoonte, gridò forte nello sforzo di risvegliare le coscienze a non fermarsi all’apparenza, e come Lacoonte con i suoi figli, fu divorato da sinuose forze oscure. La coscienza e' un costituente imprescindibile della dissezione analitica del patologo che esamina la realta' dei padri separati d’oggi e dei loro figli, ma non e' uno strumento sufficiente alla complessita' di un fenomeno che comprende ineludibilmente anche le madri. Non e' possibile considerare un elemento della coppia genitoriale senza l’altro in un anacronistica lotta fra i sessi, o in un qualsiasi antagonismo di ruolo privo di significato: ogni alterazione dell’equilibrio dinamico tra maschile e femminile produce sterilita', sofferenza e morte e, le vittime ultime, sono i figli.

“ L’uomo e la donna, dopo essere stati spinti entrambe dal maschile a superare il rapporto originario, vengono spinti dal femminile a rinunciare anche a questa posizione ed a tendere verso una totalita' che abbracci maschile e femminile insieme(…) affinche' si raggiunga una psicologia dell’incontro dove maschile e femminile siano presenti nei loro lati coscienti e inconsci.”

Afferma Maria Mirella D’Ippolito. A questa complessita', e' necessario un approccio ermeneutico cui partecipare non solo coscientemente attraverso la poesia, ci conforta Freud. I Figli sono la presentificazione vivente e irreversibile dell’incontro tra uomo e donna che li trasforma in genitori al di la' della loro sussistenza di coppia.

Quando si instaura una lotta tra genitori, maschile e femminile di ognuno si scindono esitando in Oreste, in Medea. D’altro canto la catastrofe del padre può prendere un senso narrativo solo se restituita alla coppia e alla collettivita'.

Con un padre non piu' ucciso o condannato, ma nullificato, non avremo piu' la peste a Tebe ma semplicemente, non vi sara' piu' Tebe. Un senso comune infiltrato da una sottocultura post moderna della frammentazione e della perdita di senso conduce a un femminile isolato che abbraccia un maschile senza piu' parola: non serve agli uomini, non alle donne, ne' ai figli. Pascoli, nei Poemi Conviviali racconta l’ultimo viaggio del suo Ulisse in cui, i paesi misteriosi che sono stati teatro delle sue straordinarie avventure gli sembrano luoghi del tutto normali; il mito, insomma, e' caduto trascinando nel suo definitivo crollo anche ogni possibile significato e valore di realta'. Il viaggio termina con un eroe vecchio che giunge ormai morto alla spiaggia di Calypso:

“Ed ella avvolse l’uomo nella nube
Dei suoi capelli; ed ululo' sul flutto
Sterile, dove non l’udia nessuno:
- Non esser mai! Non esser mai! Piu' nulla,
ma meno morte, che non esser piu'!"
   
fonte: http://www.psychiatryonline.it/ital/editit88.htm
autore dell'articolo Ubaldo Sagripanti



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