"Nelle mura del carcere si accresce la consapevolezza dell'essere padre, attraverso un laboratorio del progetto Stabat Pater. I detenuti di una sezione di alta sicurezza si sono cimentati nella prova di scrittura in cui hanno potuto raccontare le loro emozioni di padri, separati dai propri figli per scelte sbagliate. (la Redazione)"
Il progetto Stabat Pater, a cura di Silvano Sbarbati, ha avuto inizio lo scorso autunno tra le mura del carcere, coinvolgendo una decina di ristretti nella sezione “Alta Sicurezza” in un laboratorio sulla paternità diviso in due parti: nella prima parte il laboratorio sulla scrittura, condotto da Sbarbati, dove ogni detenuto ha provato a descrivere nella maniera più sintetica e sincera la sua paternità in carcere; una seconda parte con il regista Simone Guerro ed il musicista Francesco Gatti, dove i detenuti hanno lavorato sulla comunicabilità dei propri sentimenti tramite la parola detta, il teatro, la musica.
La rappresentazione sarà “un lavoro basato sull’essenzialità. Poca regia, molta consapevolezza” racconta Simone Guerro, che aggiunge: “Trattare sentimenti ed emozioni così intime dentro un carcere è stata una sfida molto delicata. All’inizio del laboratorio ho chiesto: perché dovremmo dire tutto questo a qualcuno? Che necessità abbiamo? "far capire che siamo comunque delle persone” è stata la risposta unanime. Da lì è iniziato il lavoro più duro: l’abbattimento dei muri che i detenuti sono costretti ad erigere intorno a sé per sopravvivere alla vita carceraria. Una riabilitazione emotiva che ha toccato le nostre corde più profonde e il cui scopo è stato quello di acquisire una consapevolezza maggiore circa la propria situazione passata, presente e futura. Sarà una rappresentazione breve, basata su testi scritti da loro stessi, delle lettere ai propri figli, creati sotto la guida di Silvano Sbarbati e il cui scopo è quello di far arrivare quelle parole con la maggior consapevolezza possibile, anche attraverso l’utilizzo della musica dal vivo eseguita dal M° Francesco Gatti, musicista e osservatore attento di tutto il lavoro, con tutto il patrimonio emotivo che appartiene a questi padri, la cui sincerità fa di questa performance un vero e proprio dono che i detenuti faranno agli spettatori”.
L’iniziativa prosegue la felice collaborazione instaurata nell’estate 2010 tra la Fondazione Pergolesi Spontini e la Casa Circondariale di Ancona, quando furono rappresentate di fronte a 70 detenuti due rappresentazioni teatrali, entrambe dedicate a Pergolesi; nel dicembre dello stesso anno, poi, sempre la Fondazione promosse un concerto lirico sinfonico sempre in carcere. Il primo atto di Pergolesi a domicilio consisteva in un monologo in cui la madre di Pergolesi pensava al figlio lontano dalla sua città, piccolo e indifeso, allievo del Conservatorio di Napoli. Dopo la visione un detenuto chiese “Ma perché non si parla mai dei padri? In ogni film, libro, spettacolo, sono sempre le madri che soffrono la lontananza dai propri figli, ma ai padri nessuno dedica mai un pensiero, non se ne parla”. Proprio da questa osservazione è nato il progetto Stabat Pater.
fonte: viverejesi.it
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