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Paternità e lavoro: per essere un buon padre non serve necessariamente avere dei figli
Pubblicato il: 27/11/2010  Nella Sezione: Paternità

Nel mondo del lavoro di oggi, la responsabilità di chi ha un ruolo di guida aziendale o sociale nei confronti di coloro che collaborano con lui deve essere animata da un interesse educativo.

Chi guida altre persone nel lavoro deve esercitare una paternità che miri a che esse scoprano chi sono e possano vivere con libertà quello che sono.

Non è necessario fare lo psicologo, né l’insegnante; occorre solo fare il proprio lavoro e trasmettere le ragioni per le quali lo si fa in un modo piuttosto che in un altro, con un criterio che viene proposto agli altri, ma non imposto.

A questa paternità si contrappone un atteggiamento opposto: il paternalismo.

Semplificando molto, il paternalista cerca di essere buono, ma vuole affermare se stesso attraverso la propria bontà, invece di affermare l’altro.

L’atteggiamento parternalistico nel lavoro fa in modo che le persone diventino possesso di chi lo esercita. Questo è possibile perché, in fondo, fa comodo.

C’è una connivenza tra il paternalismo e la vita comoda.

L’altro, di norma, è scomodo.

Se trovi qualcuno che ti sprona, che ti sfida, che non ti tratta da esecutore, che ti fa riflettere…

Tutto questo non è così comodo.

La scelta della paternità nel lavoro è molto meno comoda anche per chi la esercita, perché questi deve mettersi in gioco, conoscere le persone, ammettere i propri errori, dialogare.

La scelta della paternità è molto più difficile, ma molto più affascinante, perché ha come conseguenza di far crescere persone piene, interessanti, di creare una realtà dove si vive una certa vivacità, anche attraverso eventuali tensioni e conflitti.

Bernard Scholz (esperto in organizzazione aziendale)

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