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Essere o non essere... padre? Tema vincitore del concorso "Paola Furia"
Pubblicato il: 22/02/2011  Nella Sezione: Paternitā 

Il Liceo classico "Lucrezio Caro" di Roma, bandisce ogni anno un concorso riservato ai suoi allievi, intitolato alla Professoressa Paola Furia.

Il tema vincitore dell'edizione 2010, realizzato dalla diciassettenne Greta, aveva come argomento la paternità.

Ve lo proponiamo in forma integrale.

 

Essere o non essere... padre?

 
Benché il ricordo della morte del nostro caro fratello Amleto sia ancora viva nei nostri cuori, e il paese si stringa  a lutto intorno alla figura del suo amato re, tuttavia propongo, mai dimenticando il suo defunto sovrano, di gioire per il recente matrimonio tra il sottoscritto e la sua qui presente sorella-moglie.

Con queste parole il re Claudio, infingardo, meschino e colpevole, si rivolge al popolo: dopo aver ucciso con le sue stesse mani suo fratello, il re di Danimarca Amleto, aver usurpato il trono al diretto discendente della dinastia, il principe Amleto, ed essere convolato a nozze, dopo solo due mesi dal funerale, con la regina Gertrude, madre del principe Amleto e vedova del defunto re, Claudio cerca disperatamente di scrollarsi di dosso il fantasma del fratello.

Ma nulla possono le sue parole contro la coltre di fumo scuro che sembra accompagnare tutti i gesti e le parole del principe. Amleto non è depresso solo per la morte del padre, sarebbe sciocco esserlo dato che, come ricorda il re Claudio al figlioccio “tuo padre perse un padre, quel padre perse un padre a sua volta”. La fuliggine che gli ricopre gli occhi non è neanche dovuta al fatto che lui solo conosce la vera causa della morte del re (la versione di Claudio, infatti, è che il re di Danimarca sia stato morso, durante il sonno, da un serpente velenoso).

Per comprendere a fondo il cancro che mangia Amleto è necessario riallacciarsi alla massima di Freud sul rapporto padre-figlio, la cui sostanza Shakespeare indovinò secoli prima dello psicanalista: “E’ necessario affinché il figlio cresca e diventi uomo, che esso uccida il padre”. E questo ad Amleto non è stata permesso. Non ha potuto uccidere la figura del padre perché qualcuno l’ha fatto al suo posto, prima del tempo e nel peggiore dei modi, usurpandone il trono e insidiandone la sposa.

Amleto non potrà mai crescere, mai diventare uomo, mai esser padre a sua volta, dovrà fingere di essere matto per tentare di sentirsi savio in una Danimarca che per lui è “la peggiore delle prigioni”. Ucciderà, sarà ucciso, tradirà, sarà tradito in un’atmosfera di anestetizzata follia, dove tutto è permesso e stupirsi è da sciocchi. Ma non dimentichiamo che la causa prima di tutto ciò è il padre, quel fantasma che all’inizio della tragedia intima al figlio di vendicarlo, condannandolo a morte.

Le colpe de padri ricadono sempre sui figli. Questa è una delle leggi universali che regolano le cose del mondo. Nelle ”storie” Erodoto riconduce la sconfitta dell’esercito persiano all’antica colpa di Dario. Il re persiano si macchiò di cupidigia, cercò cioè di superare i limiti tacitamente accordati dall’uomo, attaccando l’enorme potenza greca. La colpa del re non si protrasse solo sul figlio Dario, ma su tutta la sua discendenza, condannata a morte dagli déi.

Migliaia di figli morirono per colpa dei padri. Enea, dopo aver portato il padre sulla spalle, diventando così padre di suo padre, pone le basi per uno degli imperi più potenti della storia dell’umanità, e ciò senza l’aiuto del genitore. Vedere il padre come un “bambino”, come un “figlio”, e non più come “l’assassino”, è ciò che accade al poeta Umberto Saba, che riesce in questa modo a seppellire il vecchio sé stesso, evolvendosi in un nuovo uomo.

La catarsi che ogni figlio deve attuare, quella cioè di liberarsi dell’autorità del genitore e cercare il proprio posto nel mondo, accettando così di compiere lo stesso  percorso che ha permesso a suo padre di diventare tale, è la “conditio sine qua non”, certi nostri non se ne andranno più via.

Kafka, ad esempio, scrittore posseduto da un talento tanto grande quanto lo erano i fantasmi della sua mente, non riuscì mai a sconfiggere la paura atavica nei confronti del padre. Non solo in “Lettera al Padre”, ma anche nei suo racconti più famosi, il senso di inadeguatezza nei confronti del mondo esterno e nei confronti del mondo esterno e nei confronti dei genitori (e del padre in particolar modo), è sempre presente nel ritratto psicologico dei personaggi, che sono spinti e oppressi dal peso della loro incapacità a farsi comprendere, tanto da arrivare ad un punto di non ritorno. Il padre di Gregor Samsa non aiuta il figlio ad uscire dal suo guscio di insetto, anzi, contribuisce a isolare il figlio dal mondo, spingendolo infine ad una morte meschina ed indecorosa.

Lo stesso vale per la monaca di Monza dei “Promessi Sposi”: mai si libererà della rabbia e del risentimento nei confronti del padre, che l’ha obbligata a prendere i voti. Tutta l’indifferenza che ha subito da quando è nata, Gertrude la vomiterà sotto forma di cattiveria allo stato puro: denuncerà infatti Lucia agli scagnozzi dell’Innominato, rompendo con lei il patto di fiducia. L’odio verso i padri è inevitabile, è l’odio anche verso sé stessi.

Oscar Wilde diceva: “I figli cominciano con l’amare i genitori, poi li contestano. Infine non li perdoneranno mai più”.

Quando Cecco Angiolieri denuncia il padre di non curarsi di cui e di abbandonarlo nel momento del bisogno, e dichiara “si fosse morto andarei da mio padre, si fosse vita fuggirei da lui”, è contro sé stesso che scaglia le sue invettive, giustificate o ingiustificate che siano.

L’umanità è composta semplicemente, per la sua totalità, da padri e figli, nient’altro. Anche Adamo era figlio di Dio, e in seguito lo fu anche Gesù. Padri amati, dannati, cercati, morti, vendicati, serviti, temuti e odiati. Padri comprensivi, come quello di Terenzio nel suo Adelphoe, buoni, incapaci, inadatti, padroni, disperati.

Penso che la prova psicologica più dura a cui un figlio possa essere sottoposto, è svegliarsi una mattina e vedere riflesso nello specchi oil proprio genitore al posto di se stessi. Forse si può sfuggire al proprio destino, forse è possibile scagliarsi contro i dardi del fato, proprio come Amleto, solo per non rischiare di somigliare a noi stessi.

Greta