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La fila al supermercato: come passare davanti a tutti con il proprio figlio che piange
Pubblicato il: 25/05/2010  Nella Sezione: Tutto io devo fare

Un giorno mi sono ritrovato a fare la spesa con mio figlio appena nato, il quale, dopo una lunga attesa alla cassa, ha iniziato a manifestare le proprie opinioni con l’unico modo in cui era capace in quel periodo: ha iniziato a piangere urlando disperazione da tutti i pori.

Era normale che lo facesse. Anch’io l’avrei fatto se non avessi avuto qualche anno più di lui e non me ne sono preoccupato più di tanto. Ma nello stesso istante in cui è iniziato “il concerto”, ho assistito ad una sconcertante trasformazione.

Le donne che erano in fila con me, quelle stesse donne che quando faccio la spesa da solo, mi guardano con disprezzo perché sto allungando la fila alla cassa in modo illegittimo in quanto, come appartenente al genere maschile, la spesa non ho il diritto di farla, si sono organizzate come se avessero provato quella scena da anni e, come se fossero un unico organismo vivente dotato di tante braccia e tanti occhi, si sono gettate su di noi.

Subito ci hanno trascinati in cima alla fila e immediatamente si sono divise i compiti: c’era chi cullava mio figlio dopo avermelo letteralmente tolto dalle mani, chi svuotava il carrello sul nastro della cassa, chi riempiva le buste mentre qualcun’altra scalpitava ai margini della scena, disperata del fatto di non poter intervenire considerato l’angusto spazio tra le casse del supermercato.

Io mi guardavo intorno senza poter fare nulla, assistendo ad una prova di efficienza ed efficacia che in genere è possibile ammirare solo ai box delle gare di Formula 1 durante il cambio gomme.

Il tutto è durato pochi secondi. D’un tratto ero stato catapultato in pole position, le buste erano piene ed ordinate sul carrello che mi aspettava oltre la cassiera. Mio figlio aveva smesso di piangere (penso più per la sorpresa che per un reale conforto) e c’è stato un momento in cui ho percepito che se avessi tentennato ancora  un po’ (stavo aspettando che qualcuna mi pulisse la visiera del casco) a tirare fuori il bancomat, avrebbero organizzato una colletta tra di loro e la spesa nemmeno l’avrei pagata.

Mentre pagavo la cassiera, tutte loro si guardavano e mi guardavano con un’espressione inconfondibile che ho riconosciuto poi in altre situazioni. L’espressione diceva più o meno questo:  “povero deficiente, già è tanto che provi a fare la spesa e vorresti pure gestire un neonato nello stesso momento? Sei un uomo, è evidente che non sei all’altezza”.

Ce ne siamo andati io, mio figlio e il carrello pieno di buste, con quella senzazione indescrivibile che ti assale quando sai di aver “vinto” per aver ottenuto un evidente vantaggio, ma con il tarlo del sospetto che forse, quegli sguardi, si stavano trasmettendo in modalità wireless una certezza che sarà impossibile scalfire.

Federico