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Come sta cambiando il ruolo paterno nella societā  italiana
Pubblicato il: 25/03/2010  Nella Sezione: Paternitā

Padri per la prima volta a 35 anni: cosa aspettarsi?
In Italia si diventa padri per la prima volta, in media, verso i 35 anni: questo uno dei risultati più eclatanti dell’ultimo rapporto Istat “Diventare padri in Italia”. L’innalzamento dell’età a cui si ha il primo figlio insieme alla modifica della struttura familiare sta cambiando anche il rapporto della coppia con la genitorialità, in particolare quello del padre con la paternità.

Molto spesso avere un figlio in età più avanzata è il risultato di una scelta più consapevole, di una pianificazione nella quale contano tanti aspetti: non solo il sentirsi pronti ad essere genitori, ma anche il poter assicurare al figlio un buon standard di vita. Rispetto, dunque, ai figli avuti in giovane età vi è senza dubbio una consapevolezza diversa degli impegni e dei ruoli che quest’assunzione di responsabilità prevede. Tuttavia uno degli aspetti negativi dei padri, così come delle madri, over 30 è che si ha la tendenza ad una maggiore ‘psicologizzazione’, una maggiore attenzione ai problemi del bambino che supera spesso la sottile linea che separa la necessità di riservare attenzioni ai figli dal riversare su di loro ansie, pressioni  e inquietudini”, afferma Massimo Ammaniti, Professore di Psicopatologia Generale e dell’età evolutiva all’Università "la Sapienza” di Roma.

Troppa razionalità nel rapporto con i figli?
Secondo molti medici - chiarisce Ammaniti - i genitori di oggi stanno perdendo quello che viene definito “intuitive parenting”, cioè la capacità di interagire con i figli in modo più istintivo. Pare che la perdita di questo intuito si sia manifestata in particolare con l’avvento del fenomeno figlio unico. Nelle famiglie numerose i figli vivono nel loro mondo, che spesso esclude gli adulti e nel quale è bene che gli adulti non entrino. Così come sarebbe bene che succedesse il contrario cioè che gli adulti escludessero i bambini dal loro mondo.

Nella nuova famiglia composta da mamma papà e figlio, invece, queste separazioni sono sempre più rare: è alto il rischio che i genitori facciano entrare il figlio nella coppia trattandolo come un piccolo adulto, caricandolo di aspettative. In questo senso avere un padre e una madre giovani significa aumentare la probabilità di avere una famiglia più numerosa e di ovviare ai problemi derivanti da un nucleo familiare troppo ristretto. Non v’è dubbio poi che un padre più giovane è meno frenato dalla razionalità e riesce meglio a vestire i panni del compagno di gioco; ma questo è solo uno degli aspetti dell’educazione e della vita del bambino in cui il padre è coinvolto. Mentre infatti fino a qualche tempo fa il ruolo del padre diventava più importante dopo lo svezzamento del bambino, oggi i papà cominciano a prendersi cura dei loro figli sin dai primi mesi di vita.

I papà possono fare i mammi?
Si deve modificare uno schema, rodato per secoli, in cui la cura del bambino nei primi mesi era esclusivo appannaggio della donna e includere il padre sin dalla gravidanza. Anche in campo scientifico ormai si parla di “coparenting”: il padre deve essere coinvolto nella cura della prole sin dai primi mesi. In passato il padre cominciava a prendersi cura del bambino dopo il secondo anno di età. Ora non è più così. È in atto un cambiamento che dovrebbe portare ad un raggiungimento di equilibri familiari diversi da quelli a cui siamo abituati. Per cambiare bisogna vincere alcune resistenze, prime tra tutte quelle delle madri che rappresentano ancora il “gate keeping”, cioè il cancello, la barriera che separa i padri dai figli. Spesso le madri si sentono talmente responsabili della prole da avere un atteggiamento di svalutazione nei confronti del partner finendo per scoraggiarne qualunque tentativo. È importante, invece, che sia proprio la madre a consentire al padre di prendersi cura del bambino e che lo incoraggi a farlo. Per chiedere ai padri di cambiare è necessario che anche le madri cambino un poco.

Cos’altro deve cambiare il padre di oggi?
L’uomo deve essere molto comprensivo con la donna immediatamente dopo la nascita del bambino. È quello, infatti, un momento molto delicato. Daniel Stern, professore di psicologia infantile alla Columbia University, parla di “costellazione materna” per spiegare che ogni donna che diventa madre viene a trovarsi, da un punto di vista psicologico, in una situazione nuova che orienta i suoi comportamenti e la sua sensibilità, le sue tendenze, i suoi timori e i suoi desideri, rimettendo in gioco le fantasie infantili. Le donne per un certo periodo vivono in un mondo a parte in cui devono ricostruire un proprio io sia rispetto al nuovo arrivato che rispetto al partner. Generalmente in questa fase il padre è molto emarginato, perché le donne tendono a rivolgersi ad altre donne per cercare conferme o chiedere consigli. In questa fase l’uomo non può far altro che cercare di comprendere la propria compagna e cercare di essere partecipe sia della vita della partner che di quella del figlio.

Quanto conta l’istinto nell’essere genitori?
Sembrerebbe sia in atto anche se molto lentamente, un cambiamento culturale che sta investendo sia il ruolo dell’uomo che quello della donna. Molti però sono ancora convinti che ci siano delle cose che solo le mamme possono fare e che non spettano ai padri e non ci si riferisce solla alla gravidanza, al parto o all’allattamento. Si tira spesso in ballo l’istinto materno o il legame particolare che le mamme hanno con i figli. Questi non sono discorsi astratti, dal punto di vista riproduttivo e della cura della prole gli esseri umani si comportano come gli altri animali e, nel corso dell’evoluzione, si è sviluppata una serie di meccanismi fisiologici che regolano e sono alla base di quello che genericamente viene indicato come “istinto materno”.

“Gli stili genitoriali e il prendersi cura del bambino sono vincolati da produzioni ormonali. Per esempio l’affiliazione da parte della madre è fortemente influenzata dalla produzione di alcuni ormoni. In particolare l’aumento dell’ormone vasopressina stimola le regioni orbito-frontali del cervello, che sono quelle che regolano i comportamenti legati alla cura della prole. Nei padri invece l’elevato tasso di testosterone non aiuta per niente lo sviluppo di attività tese a prendersi cura del figlio”, sottolinea Ammaniti.
Non è un caso, dunque, che le madri, nei mesi immediatamente successivi alla nascita di un bambino, vivano molto male il distacco fisico dal figlio; i padri invece non hanno questo problema ma cominciano a sentire forte la pressione di doversi prendere cura del figlio magari lavorando di più. Non sarebbe una battuta spiritosa dire che andare a caccia o portare il pane a casa è un retaggio primitivo.

Intervista di Emanuela Grasso, Biologa,
a Massimo Ammaniti, Professore di Psicopatologia generale e dell’età evolutiva,
Università "La Sapienza”, Roma; Condirettore della rivista Infanzia e Adolescenza

fonte: pensiero.it