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Il cambiamento nel ruolo del padre, č alla base del disagio giovanile
Pubblicato il: 20/07/2010  Nella Sezione: Paternitā

Educatori e sociologi sono concordi: alla radice del disagio giovanile c’è l’interruzione della catena padri-figli. occorre tornare a insegnare il limite. di Paolo Ferliga
La società contemporanea soffre per la continua riduzione del ruolo e della presenza del padre nella formazione e nell’educazione dei giovani. Si tratta di un processo secolare che ha confinato i padri nei luoghi del lavoro, lasciando alle madri e a un sistema scolastico femminilizzato il compito di istruire ed educare le nuove generazioni. A partire dagli anni Settanta del Novecento, poi, l’aumento di separazioni e divorzi ha allontanato fisicamente molti padri dalla casa dei figli. Si calcola che oggi siano circa 8 milioni di genitori separati, con 140 mia separazioni/divorzi nel 2007, che hanno coinvolto 91 mila bambini e ragazzi. A tre anni dall’approvazione della legge 54 sull’affido condiviso i tempi medi di permanenza dei figli con il padre sono stimati ancora solo al 18%, rispetto al 72% che i figli trascorrono con la madre. Eppure in questi ultimi anni qualcosa sta cambiando e sembra farsi avanti, nella coscienza di educatori e genitori, ma anche degli studiosi e dei terapeuti, la consapevolezza che l’interruzione della catena padri-figli sia alla radice del forte disagio espresso dai giovani. Il grido di dolore che si leva dai figli senza padre e dai padri cui sono stati tolti i figli costringe la nostra società a interrogarsi sui guasti creati dall’assenza del padre. Il quadro che si presenta ai nostri occhi preoccupante. Sempre più spesso studenti demotivati, figli depressi, giovani che cercano nell’alcool e nella droga quel piacere che la vita sembra loro non offrire. Il segno che accomuna il disagio giovanile è quello della dipendenza: dal mercato del consumo, dalle sostanze stupefacenti e dai farmaci, dalla televisione e da internet. Dal gioco d’azzardo e dai giochi di ruolo, da una sessualità compulsiva e dalla pornografia. Ci troviamo davanti al paradosso per cui la cosiddetta società del benessere, dove tutto sembra possibile, produce un diffuso e sempre più forte senso di disagio e di impotenza. L’assenza di limiti crea una sorta di bulimia per cui si vorrebbe divorare tutto, oppure un atteggiamento di rinuncia spesso autistico, perché nulla sembra più desiderabile e la vita priva di interesse e di senso. Di fronte a questa situazione di disorientamento, lo sguardo degli psicologi e degli studiosi dei fenomeni sociali comincia a vedere ciò che la sapienza antica, in particolare nella sua espressione religiosa, ha sempre saputo: senza la presenza del padre la vita è priva di orientamento e il legame sociale si allenta. Come diceva Freud, infatti, la figura del padre è centrale, non solo a livello individuale, ma anche per la psiche dei popoli. Se la funzione paterna viene meno a livello sociale, i figli rischiano di non uscire da una posizione egocentrica di tipo narcisistico, una posizione dipendente dalla madre, vissuta come fonte in grado di soddisfare sempre e subito i loro bisogni. Proprio aiutandoli a separarsi dalla madre, il padre trasmette loro il senso del limite, condizione indispensabile perché si formi una personalità autonoma. L’autonomia, la capacità cioè di interiorizzazione, la norma, e quindi anche il divieto, è l’antidoto principale nei confronti della dipendenza. Solo chi è autonomo è in grado di distinguere cioè tra bene e male, e di passare dall’egocentrismo all’altruismo, entrando così a fare parte della comunità. Fin dai primi mesi di vita il padre aiuta il bambino a diventare autonomo facendolo uscire dal legame simbiotico con la madre, indispensabile all’inizio ma ingombrante in seguito, perché finchè resta in esso il figlio si illude che tutto gli sia dovuto. Spetta dunque al padre dargli il senso del limite, dire al bambino il primo “no”!, esortarlo a crescere per diventare sé stesso, pronunciare parole che insegnano a governare i propri istinti. A queste parole devono corrispondere dei comportamenti, dei gesti concreti. Per questa ragione è indispensabile che il padre torni a occuparsi dei figli, non nella veste di seconda madre, di quello che oggi con accenno dispregiativo viene definito “mammo”. Molti padri oggi lo sanno: giocano di più di una volta coi loro figli, li portano a spasso volentieri, si interessano del loro percorso formativo. Non disdegnano di cambiare loro i pannolini e non si vergognano di dimostrare loro affetto. Ma sentono che il loro compito richiede anche altro. Sanno che spetta a loro trasmettere ai figli quel senso del limite e dell’autonomia indispensabili per aprirli al mondo degli altri e per iniziarli alla vita dello spirito.

L’autore, Paolo Ferliga Insegna Filosofia e Storia al liceo Arnaldo di Brescia e Psicologia dell’educazione all’Università Milano-Bicocca. E’ anche psicoterapeuta e saggista: ha pubblicato il libro:”il segno del padre nel destino dei figli e della comunità” (Moretti&Vitali,2005) in cui dimostra come l’immagine del padre, spesso sottovalutata dalla cultura contemporanea, sia comunque conservata dall’inconscio collettivo).  Vai a vedere, nella sezioni libri, questo interessante testo

fonte: comunicazionecondiviso.blogspot.com