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Padre imprenditore contro figlio contestatore: Mio figlio č un violento il gip sbaglia a scarcerarlo
Pubblicato il: 22/11/2012  Nella Sezione: Genitori

Quando, mercoledì, lo ha chiamato la ex moglie dicendo­gli «ti faccio la telefonata che ti aspettavi», il mondo gli è crolla­to.

Perché ti senti morire quan­do il tuo incubo di padre si mate­rializza, quando ti informano che tuo figlio, 21 anni, è uno de­gli 8 violenti arrestati (resisten­za a pubblico ufficiale e lesioni) perché hanno ridotto il Lungote­vere, a Roma, a un campo di bat­taglia, sanpietrini e violenze contro i poliziotti.

Un colpo, per Giorgio Chiesa, imprenditore, chef stellato titolare di un noto ri­storante a Cuneo. Ma il colpo an­cora più grande gliel’ha dato il Gip di Roma, che al suo Chri­stopher non ha dato nemmeno i domiciliari chie­sti dal Pm, solo un blando obbli­go di firma. Di qui la sua decisione di esporsi in pri­ma persona.

Perché?
«Voglio racconta­re la mia esperien­za di padre one­sto che si ritrova con un figlio che si macchia di que­sti reati e soffre. La società sotto­valuta queste cose, le liquida co­me ragazzate. Ma altro che sem­plice firma, dovevano tenerlo dentro più a lungo. Se restano impuniti li glorifichiamo».

Sta dicendo che suo figlio do­veva restare in carcere?
«Senza una puni­zione gli toglia­mo persino il sen­so di colpa. Lui è tutto tronfio per questa pseudo­vittoria giudizia­ria. Mi ha detto: “Visto che il Gip mi ha mandato a casa?La lotta con­tinua”. Del resto, basta guardare il suo profilo Face­book con la frase della fondatri­ce della banda Baader Meinhof («Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono lanciati mille sassi, diventa un’azione politica...») per capi­re che col buonismo non ottenia­mo nulla.
Il mondo non si cam­bia con le bombe carta ».

Ma perché una denuncia pubblica?
«Sento il dovere, da padre che ha coscienza delle responsabili­tà verso il figlio e verso la società, di lanciare un allarme. In questo momento ci sono focolai di per­so­ne che sobillano questi ragaz­zi, come 30 anni fa. Sono preoc­cupato, temo che quel periodo si possa ripetere. E mi piacereb­be che protagonisti di quegli an­ni come Curcio, Franceschini, intervenissero per dire ai giova­ni di oggi: “Non fate lo stesso er­rore” ».

Su quali basi teme un rischio terrorismo?
«Intanto c’è quello che capto dai racconti di mio figlio, che stu­dia Scienze politiche alla Sapien­za, mi contesta, fa il comunista ma poi a Roma ha casa, a mie spese, a Monte Mario, mica a Centocelle. Temo che lì ci siano cellule combattenti. Questi ra­gazzi sono plagiati».

Plagiati da chi? In che mo­do?
«Appena arrestati hanno gli av­vocati pronti. Ho incontrato uno dei suoi legali, dopo l’inter­rogatorio di garanzia, gli ho chie­sto come dovevo regolarmi, an­che per la parcella. Mi ha rispo­sto che almeno nella fase inizia­le, in quanto socio di un centro sociale, ha diritto al patrocinio di un avvocato, e che non devo nulla».

Cosa ha detto a suo figlio?
«La notte della scarcerazione gli ho mandato un sms. Gli ho detto che sono suo padre e che per lui sono un punto di riferimento. Ma gli ho detto anche che, da pa­dre, non posso esimermi dal condannarlo. Io lavoro, non lan­cio sanpietrini ai poliziotti. E non possiamo fare di questi ra­gazzi degli eroi. Col garantismo familiare non li aiutiamo a cre­scere».

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