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Scuola dell'infanzia
Pubblicato il: 07/10/2010  Nella Sezione: Tutto io devo fare

Ce l'ho fatta! Dopo tanti pensieri, troppi ripensamenti, molti dubbi e dopo troppo, davvero troppo indugiare, dopo che questo settembre nerissimo è terminato, finalmente ho preso la decisione di ritirare Dodokko dalla scuola dell'infanzia comunale per iscriverlo di nuovo nella scuola privata che ha frequentato lo scorso anno. Non è stata una scelta facile, per diversi motivi: perché lo avevano finalmente ammesso in una scuola pubblica dopo due tentativi falliti negli anni precedenti; perché ero convinto che i docenti pubblici, che possono insegnare perché hanno vinto un concorso, fossero più selezionati e preparati di maestre che nella scuola privata a volte si improvvisano tali; perché il contributo da pagare era insignificante rispetto alla retta che da ottobre verseremo di nuovo; perché l'iscrizione di Dodokko ci avrebbe portato più punti nella graduatoria per essere riammesso nella scuola dell'infanzia, sia nell'eventualità di farlo frequentare nei prossimi anni, che per una possibile iscrizione di un secondo figlio.
Ma ciò che è successo nella scuola comunale che mio figlio ha frequentato per quasi un mese ha dell'inverosimile e spero proprio che i fatti che mi accingo a raccontare siano dipesi da quegli insegnanti incontrati in quella classe di quella scuola. Insomma, spero vivamente non si tratti di una situazione più generale che coinvolga tutta la scuola materna pubblica.
Vorrei non dipendesse dal sistema scolastico pubblico che si rivolge all'infanzia, ma mi auguro sia un caso isolato, l'approccio schematico e freddo che Dodokko ha sperimentato sulla propria pelle e che io ho osservato ogni giorno che ho accompagnato mio figlio a scuola. E' stato un crescendo di comportamenti, dal mio punto di vista assurdi, rivolti dal personale docente a un bimbo di tre anni e al suo genitore.
Via con l'elenco e partiamo proprio dal primissimo giorno. L'inserimento: chiamato in questo modo, impropriamente, perché non ce n'è stato uno, visto che l'inserire è una progressione che ha un capo e una coda e, in mezzo, un durante, che è tutta quella fase che conduce dall'inizio alla fine del processo stesso. Invece hanno preteso che mio figlio fosse lasciato in classe senza genitori fin dal primo momento, senza moine e senza fronzoli, "se no, quand'è che diverrà indipendente?!". Quindi, più che di un inserimento si è trattato di un far precipitare un bambino dal cielo, nel vuoto di una classe sconosciuta, così, di punto in bianco, e chi si è visto si è visto. E si è trattato anche di pretendere o perlomeno auspicare un comportamento, nei genitori, da ciechi sostenitori di questo metodo, che magari sfociasse in frasi del tipo: "Ciao, papà va al lavoro. Fa' il bravo, eh. Quelle sono le maestre e quelli i tuoi compagni. Ciao, stai tranquillo ché dopo viene a prenderti mamma".
Immaginate le lacrime e le urla mentre la maestra mi fa, confidenzialmente sotto voce: " Vada, vada (Ignori, ignori - Ndt)" e mi scorta verso la porta. Ma poi sento Dodokko che mi chiama: "Papà, devo fare la pipì". Mi giro con l'intenzione di accompagnarlo in bagno, ma la maestra si affretta a rassicurarmi che sarà l'operatore scolastico preposto al compito a portarcelo. Cioè il bidello, uno che non ha mai visto prima?!, mi domando. "No, mi scusi - le dico - vorrei portarlo io in bagno". "Ma lei non potrebbe...Però, per questa volta vi faccio accompagnare". E finalmente riusciamo ad andare a pisciare...scortati.
Il secondo giorno di scuola: arriviamo in leggero ritardo, una decina di minuti al massimo, perché prima ci siamo fermati a comprare una pizzetta bianca dal fornaio, dato che Dodokko ha avuto qualche problema intestinale e non ha fatto colazione. Ci presentiamo in classe e la maestra ci dice che non si può portare cibo da fuori: ergo, niente più pizzetta e colazione saltata. E poi - dato che ci mancava - il cazziatone per il ritardo: "Sa', qui teniamo molto alla puntualità e la prossima volta non potremo farvi entrare". "Mi scusi - cerco di giustificarmi -, ma non volevo portarlo a scuola a digiuno".
Il terzo giorno: mio figlio piange, come sempre, ma questa volta mi chiede di andare in braccio alla maestra prima che io me ne vada. La maestra, dato che tanto sta seduta e dunque il peso non graverebbe sulla sua colonna vertebrale, accetta, "Anche se - mi fa notare - soffro di mal di schiena". Ha poi da ridire anche sul fatto che Dodokko abbia con sé Lala dei Teletubbies: "Sarebbe meglio non lo portasse a scuola: non vorrei che diventasse come la coperta di Linus".
Il quarto e quinto giorno della prima settimana Dodokko non va a scuola perché 'fortunatamente' gli è venuta la febbre.
Seconda settimana (da adesso la faccio più breve, tanto credo si sia capito l'ambientino, e mi limiterò a qualche citazione edificante e a qualche considerazione finale). Eccone subito una: sto per 'consegnare' mio figlio nelle braccia di un'insegnante (di solito sono due e quindi opto per quella senza il mal di schiena) e Dodokko mi dice che invece vuole andare a sedersi sulla sedia. La maestra non ci pensa due volte a manifestare il proprio inaspettato sollievo con un disinvolto "meno male che non vuole stare in braccio!" detto al momento giusto e appena prima di un orgoglioso: "E' quello lì il suo posto", mentre mi indica l'ultima seggiolina all'angolo dei due muri. "Ma come - le chiedo - lui si siede laggiù, lontano dai compagni che giocano tutti insieme?!". "Sì - conferma - a lui piace stare lì. Però - mi rassicura - qualche volta si alza per andare a curiosare in giro e poi, quando gli va, torna a sedersi". Resto basito soprattutto per la nonchalance con la quale la maestra pronuncia queste parole e descrive soddisfatta il comportamento di mio figlio, dimostrando che non le passa minimamente per la testa l'idea di coinvolgerlo nelle attività scolastiche.
E infatti, quando qualche giorno dopo chiedo a Dodokko "cosa hai fatto a scuola oggi", mi risponde che ha guardato gli altri bambini mentre disegnavano e che li ha guardati mentre giocavano con il pongo. Insomma, quando va bene si alza dalla sua sedia all'angolo della stanza e fa lo spettatore. E questo soddisfa le maestre! D'altro canto a loro sta bene perfino che lui non mangi fino alle 16,00! Sì, mio figlio non vuole mangiare a mensa perché rifiuta quella scuola e quindi anche il cibo che lì cucinano. E quando ho detto alle maestre che mia moglie sarebbe andata prenderlo prima dell'orario di uscita, la prima volta ci hanno consentito di farlo alle 14,00, ma poi ci hannoconsigliato di aspettare comunque fino alle 4 del pomeriggio, altrimenti non sarebbe mai sorta in lui la necessità di mangiare, dato che avrebbe capito che avrebbe pranzato a casa. In altre parole, ci hanno proposto di affamarlo, pronosticando che prima o poi ("di solito si sbloccano dopo Natale!") avrebbe mangiato qualcosa. Però devo ammettere che nel dire questo sono state più soft, promettendoci di provare a dargli qualcosa (una fetta di pane!) per merenda e che, se non avesse mangiato neanche quella, ci avrebbero chiamati per andare a prenderlo prima dell'orario di uscita. E così, a dire il vero, hanno fatto, ma soltanto il primo giorno. Infatti, il secondo giorno che Dodokko ha rifiutato oltre al pranzo anche la 'merenda', non ci hanno avvertiti e quindi lo hanno lasciato a digiuno, senza alcuno scrupolo, dalla mattina al pomeriggio.
Terza settimana, lunedì: non lo mando a scuola e mi prendo un giorno di permesso dal lavoro per restare con lui e passare insieme una giornata serena. Ma il giorno dopo si ricomincia. Lo porto a scuola alle 9 e la maestra appena mi vede mi bacchetta: "Questo bambino fa troppe assenze, non imputabili a malattie dato che ogni volta manca per pochi giorni. Che succede?". "Mi dispiace - le dico - ma non aveva dormito bene e ieri ho preferito tenerlo a casa con me". Poi suona la campanella e l'insegnante mi invita a uscire rapidamente. Mio figlio piange ma devo affidarlo alle braccia della maestra.
A proposito di pianti, il giorno appresso, quando mi vede, la maestra mi racconta soddisfatta che "ieri durante il pranzo Dodokko non ha mangiato, ma non ha neanche pianto". "Dunque di solito piange a mensa?", deduco e le chiedo. "Beh, non sempre - mi dice e, generalizzando, aggiunge - ma qualche volta lo fanno". Però, questo prima non me lo aveva detto.
Non è tutto, ma non voglio più continuare a raccontare altro e gli esempi che ho dato credo siano sufficienti a far capire la situazione. Mi basta aggiungere che non c'è stato un solo giorno, nelle tre settimane circa di frequenza, in cui l'accoglienza a scuola sia stata normale, non dico minimamente calda oppure affettuosa. E mi basta dire anche che non c'è stata una volta in cui mio figlio non si sia sentito abbandonato fra le quattro mura dell'asilo. Alla fine, l'ultima settimana non l'ho praticamente mandato mai a scuola e un giorno, come ho ho raccontato all'inizio di questa storia, ho deciso di ritirarlo e iscriverlo nella scuola dove l'anno prima si era trovato bene.
 
Scritto da Cristiano - sosmammo.blogspot.com