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Scuola: orientare i propri figli verso la scuola migliore per loro, e non per noi
Pubblicato il: 09/04/2010  Nella Sezione: Scuola

Un team di esperti indirizza i ragazzi alle superiori. Obiettivo, una scuola su misura
Tommaso De Luca, preside e orientatore dell’Itis Pininfarina di Moncalieri, è estenuato: da settimane sta girando per le scuole medie di Torino e dintorni cercando di spiegare che, in fondo, anche un tecnico industriale è adatto alle ragazze.

Lui, per rendere dolce la vita alle sue 40 studentesse (su 960 iscritti) ce la mette tutta, con corsi di teatro e di hip hop. Ma il messaggio non passa: «Purtroppo credono ancora che dalle nostre aule si entri in un’officina rumorosa e unta, indossando una tuta blu». Siamo a due settimane dalla chiusura delle iscrizioni alle secondarie: giorni frenetici per gli studenti e per chi deve indirizzarli, gli orientatori scolastici. In realtà il primo consiglio è già arrivato: è definito “orientativo” ed è stato preparato dagli insegnanti delle medie.

Peccato che i destinatari ne facciano carta straccia: secondo il Cisem (l’istituto di ricerca della provincia di Milano), solo l’8 per cento degli studenti ne tiene conto. Il compito dell’orientatore quindi è delicato: se un ragazzo sceglie bene, non abbandonerà il suo percorso. E in Italia, uno studente su cinque dopo la terza media fa sparire le sue tracce.

A Milano il responsabile del servizio orientamento del Comune è, da vent’anni, Francesco Dell’Oro. Lo incontriamo all’uscita di una media, dove ha tenuto lezione in una seconda. Ha mostrato un gioco: «C’è un’autostrada con le sue “stazioni di servizio”: la prima adolescenza, i compagni di viaggio». A che servono? «Sono spazi in bianco, che spetta al ragazzo riempire. In modo da arrivare al traguardo, cioè alle superiori, con consapevolezza».

Dell’Oro e i suoi quattro collaboratori vedono ogni anno 11.000 studenti e fanno 700 colloqui individuali. «Il compito principale è rassicurarli: hanno poca autostima, non si fidano di se stessi». Le domande dei ragazzi? «Non si interrogano più sul domani. Conta solo il presente». Conferma Graziano Zuffi, da vent’anni orientatore a Trento. «Una volta, gli adolescenti erano proiettati sul futuro. Oggi invece non riescono a vedere un approdo, si sentono alla deriva. Per questo, cercano di capire il senso di quello che stanno facendo: che senso ha andare a scuola? Che senso ha fare sacrifici? ». Zuffi cita i dati sulla dispersione in Trentino, il 7-8 per cento, più bassi della media nazionale.

Ma le preoccupazioni restano, per esempio la mancanza di mobilità sociale. Secondo tutti gli orientatori il problema numero uno è ancora la pesante influenza delle famiglie: «La provenienza sociale è determinante» conferma Fabiano Lorandi, responsabile del servizio. «Incontriamo tanti genitori che spingono perché il figlio faccia il liceo, anche se non se la sente. E nei professionali non ci sono i figli degli imprenditori».

A ventunesimo secolo avviato da un pezzo, è difficile combattere i pregiudizi delle mamme. «Pensano che se un ragazzo è bravo va al classico, un po’ meno allo scientifico, ancora meno al tecnico» racconta Dell’Oro che abbiamo raggiunto in un’altra media in via Corridoni, in centro (dove i genitori chiedono lumi solo sui licei). A farne le spese sono i tecnici, in calo di iscritti. «È anche colpa delle medie, perché i consigli orientativi sono preparati dalle docenti di lettere, che non ci conoscono» si lamenta Rodolfo Rossi, preside dell’Itis Giorgi di Milano. Togliendo buone opportunità ai ragazzi. «Pochi sanno che il 34 per cento dei diplomati ai tecnici si iscrive al Politecnico di Torino» avvisa De Luca. Così, l’Unione industriali locale ha deciso di aprire le fabbriche ai ragazzini di terza media: il progetto sta per partire.

Le stesse preoccupazioni arrivano dall’Unione industriali di Roma, che (con la collaborazione della provincia) ha affidato l’orientamento a una donna, Laura Italiano, autrice dell’opuscolo Cosa farò da grande. «Sto portando nelle scuole sia gli imprenditori, sia gli ex studenti. Non c’è confronto: con i loro “pari” i ragazzi si sciolgono, e le domande fioccano. In generale sono preparati, più di quanto si pensi». E se dopo tanti incontri si finisce per sbagliare? Ci pensa il ri-orientatore. A Brescia Flavio Albrici, coordinatore del progetto Fuori classe, ri-indirizza ogni anno 250 adolescenti: «Il tasso di abbandoni al biennio da noi arriva al 30 per cento. Il caso tipico: chi si è iscritto al liceo su pressione dei genitori e ha fallito. Bisogna trovargli una nuova motivazione. E un’altra scuola».

fonte: corriere.it