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Gli uomini hanno voglia di cambiare e trascorrere più tempo con i propri bambini
Pubblicato il: 30/07/2010  Nella Sezione: Paternità

Accompagnarli a scuola? Sarebbe bello se la riunione non cominciasse alle otto e mezza. Andare a vedere gli allenamenti di calcio o ascoltare i primi «Do» della lezione di pianoforte? Ma è vietato lasciare l' ufficio a metà pomeriggio. Almeno la sera si potrebbe giocare un po' prima di cena? Impossibile se fino alle otto si resta chiusi in sala riunioni per il punto della giornata. Padri e figli, scene quotidiane di inconciliabilità tra i ritmi di lavoro e quelli di una famiglia. Tutto normale, o quasi. Perché adesso gli uomini hanno voglia di cambiare e trascorrere più tempo con i propri bambini. Lo afferma uno studio britannico realizzato dalla Equality and Human Rights Commission: il 54 per cento dei neopapà si dice insoddisfatto in quanto non riesce a vedere abbastanza i figli e, in generale, il 62 per cento degli uomini sarebbe disposto a ridurre l' orario d' ufficio per dedicarsi a loro. I papà in carriera si scoprono più scontenti delle mamme: solo il 46 per cento è convinto di trascorrere al lavoro un numero accettabile di ore, contro il 61 per cento delle donne. «In effetti fare i conti con i sensi di colpa sembra il destino di noi papà: nei confronti dei figli se passiamo poco tempo con loro; nei confronti del lavoro se chiediamo un po' di flessibilità», confessa Mattia Cavanna, direttore Energia e Global Service di Finmeccanica. Trentotto anni e due bimbi, Tobia di cinque e Anita di uno e mezzo: «Sto in ufficio dalle 8 e mezzo di mattina alle 7 e mezzo di sera. Però un pomeriggio ho deciso di andarmene alle 5 per accompagnare il maschio alla scuola calcio, e qualche venerdì cerco di organizzare gite fuoriporta. Poi, durante i weekend, io i bambini non li mollo nemmeno un secondo». Ma è così complicato per gli uomini concedersi il tempo per fare la propria parte in famiglia? «In Italia l' efficienza è sinonimo di resistenza alla scrivania, mentre io sono convinto che i manager lavorerebbero con più slancio e creatività se rimanessero in ufficio almeno il 10, 15 per cento in meno». Una cosa è certa, l' immagine della paternità sta cambiando. «Da almeno un quindicennio è in atto un mutamento culturale - afferma la sociologa Chiara Saraceno -. Gli uomini hanno capito che cosa si perdono nel delegare l' educazione dei figli alle donne. Sono soprattutto i giovani a rendersi conto che per essere un buon papà non basta essere un buon lavoratore: creare un rapporto quotidiano con i bambini è il modo migliore per costruire un legame profondo quando saranno adulti». Ma come spesso capita, gli uomini predicano bene e razzolano piuttosto male: «Quello che i papà fanno fatica a capire - continua Saraceno - è che dedicarsi alla famiglia significa condividere i lavori e gli impegni di casa, dalla spesa al medico: sono sempre le donne a sobbarcarseli, anche se lavoratrici. Il vero genitore alla pari non si può limitare ai compiti piacevoli come fare il bagnetto al bambino...». Se un cambiamento è in atto, i suoi effetti sul mondo del lavoro si vedono ancora poco. I papà che escono allo scoperto chiedendo all' azienda maggior flessibilità sono un' esigua minoranza, piuttosto rinunciano al tempo libero: «La ragione è che siamo prigionieri dello stereotipo secondo il quale solo le donne devono sacrificare la carriera - spiega Maria Cristina Bombelli, docente di Comportamento Organizzativo all' Università Bicocca di Milano -. Per gli uomini diminuire i ritmi è sinonimo di scarso attaccamento al lavoro e di disinteresse verso i ruoli importanti». Una buona parte della colpa è dei datori di lavoro: «La tecnologia e i modelli produttivi ci permetterebbero eccome di dedicarci maggiormente alla nostra vita privata - dice il sociologo del lavoro Domenico De Masi -. Il problema è che non riusciamo a liberarci da un' idea del lavoro tanto inattuale quanto punitiva, dove la professionalità viene misurata sul metro della presenza in ufficio». Non mancano però aziende controcorrente. I dipendenti di Microsoft Italia, dalla ragazza della reception all' amministratore delegato, hanno un tetto di ore in cui possono decidere di lavorare da casa. Non solo, il gruppo ha avviato degli esperimenti di «flextime» che permettono di spostare l' orario di ingresso per recuperarlo in serata: «Sono tutti strumenti pensati per venire incontro anche alle esigenze degli uomini - spiega Luca Valeri, direttore Risorse Umane di Microsoft -: essere in condizione di far fronte alle proprie responsabilità familiari aiuta senz' altro a lavorare meglio e, soprattutto, con maggiore serenità». Alessandro Mondini Branzi, 42 anni, ad della Nokia Italia, si dichiara «felicemente schiavo» del suo Paolo, 4 anni e mezzo. «Ho lavorato molto all' estero, ma da quando c' è lui per me sarebbe impensabile starmene a tremila chilometri da casa». Certo, racconta, dirigere una multinazionale non è semplice, però non è nemmeno impossibile essere protagonisti anche in famiglia: «Riesco a portare il bimbo a scuola e cerco di essere sempre disponibile». E in casa? «Adoro cucinare per Paolo e mia moglie. Naturalmente faccio io la spesa»  Vestirlo, lavarlo, massaggiarlo. E poi accompagnarlo all' asilo, farlo giocare, tentare di rispondere alla fatidica domanda: «Mi fate un fratellino? Come nascono i bambini?». Storie di papà in rete, di uomini che raccontano l' esperienza quotidiana di crescere i figli. Tra i blog per papà c' è «Babboimperfetto», un giornalista che racconta di avere «un meraviglioso cucciolo» e di vivere con la moglie a «Babyland, quartiere di soprasottocity». Rosco si dedica anima e cuore alla «professione papà» (http://rosco-66.blogspot.com/): un blog pieno di aneddoti, siparietti divertenti, consigli e tante tenerezze. Come questa: «Quando vedo le due testine dei miei cuccioli appoggiate sul cuscino e sento le loro vocine che mi dicono "papi mi fai le coccole?" capisco che forse il nostro messaggio d' amore è passato».

fonte:archiviostorico.corriere.it
articolo di Cutri Fabio del 7-11-09