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Padri separati, purtroppo molti sono al limite della povertà
Pubblicato il: 15/10/2009  Nella Sezione: Separazione

La cravatta è un po’ lucida, il colletto della camicia stirato male, la giacca di cachemire lisa sui gomiti, i jeans, invece, hanno quell’ aria un po’ consunta che li fa sembrare perfetti. Il sabato Mario F., 39 anni, tira un sospiro di sollievo. È un giorno di mezza festa e allora alle 13, quando passa nella sua vecchia casa a prendere i figli, può vestire casual senza passare per quello che è: un nuovo povero. E i pantaloni buoni, quelli di vigogna, può tenerli senza vergogna per l’ ufficio. Non è un emigrato, non è un disoccupato, non è un benestante rovinato dal crollo delle Borse, è semplicemente un padre separato. Ha ancora un lavoro, e ancora una famiglia. Ma non ha più una casa e i suoi 2.500 euro di stipendio al mese, adesso, restano poco più di 1.000. Racconta: «Insieme a mia moglie avevamo comprato un appartamento e il mutuo si prende 800 euro al mese; 600 euro è la cifra che passo per il mantenimento dei bambini. Con 1.100 euro dovrei pagare l’ affitto di un nuovo alloggio e in una grande città due stanze in periferia costano tra i 7 e gli 800 euro; per vivere mi restano 400 euro». Ma Mario non è il solo. E la sua è semplicemente una storia come tante. La Caritas è stata tra i primi ad accorgersi di questa nuova emergenza sociale. L’ ultimo rapporto dell’ osservatorio della diocesi di Milano sulle vecchie povertà e sui bisogni emergenti ha riservato un capitolo proprio a loro, gli uomini separati o divorziati. Li ha battezzati “gli equilibristi” e racconta che nel 2006 gli operatori dei centri di ascolto hanno incontrato 242 uomini trascinati dalla rottura del matrimonio agli ultimi posti della scala sociale. Il 78,5 per cento di loro sono italiani; il 61,6 per cento ha un’ età compresa tra i 35 e i 54 anni. Il loro numero nell’ ultimo anno è aumentato del 4 per cento. «La fine di un rapporto – dice la dottoressa Neri Salati, responsabile dell’ area ricerca della Caritas – oltre che rappresentare un evento traumatico dal punto di vista emotivo, può innescare percorsi di impoverimento anche per gli uomini». «Dopo la separazione, un individuo su quattro si trova in condizioni di basso reddito». E aggiunge: «Tra i tipi di eventi considerati, solo la morte di un percettore di reddito determina un numero di probabilità di cadere in situazione di povertà più elevato, mentre addirittura la disoccupazione determina un rischio lievemente inferiore rispetto alla fine di un rapporto». Chi decide di presentarsi a quella sorta di confessionali laici che sono i centri di ascolto, di sedersi sulle sedie di fòrmica e chiedere aiuto, è spesso un uomo che sta sfiorando la disperazione: chiede un aiuto per mangiare, un letto per dormire, a volte perfino degli abiti. Le mense che una volta erano riservate ai veri poveri, adesso alla sera distribuiscono pasti caldi anche a irreprensibili bancari, e la notte, nei dormitori pubblici, si presentano uomini come Mario, con la giacca lisa e la cravatta, la loro divisa per la giornata di lavoro. Perfino tra chi, da qualche tempo, sceglie per dormire la sala d’ attesa dell’ aeroporto di Linate, ci sono persone che di giorno lavorano e che non hanno abbastanza soldi per pagarsi una nuova casa dopo che hanno lasciato quella coniugale. Perché è la casa il primo grosso ostacolo che si trova ad affrontare chi vuole, o deve, ricominciare un’ altra vita. Nel 2006, secondo l’ Istat, nel 58 per cento dei casi quella che era l’ abitazione familiare viene assegnata al momento della separazione alla moglie e nel 94,5 per cento dei casi spetta al padre versare un assegno di mantenimento che sfiora, in media, naturalmente, i 500 euro al mese. «Il fatto è – spiega il sociologo Maurizio Ambrosini che insegna all’ Università di Genova – che una volta la separazione era un affare da classi abbienti, o almeno da ceto medio in su, mentre adesso è diventato un fenomeno generalizzato. E rompere un matrimonio costa, è necessario avere molte risorse: intanto bisogna trovare un nuovo alloggio e fare fronte a due famiglie». Laura Hoesch fa l’ avvocato da 40 anni e negli ultimi, da quando la domanda è esplosa, si occupa solo di famiglia. Vuole fare una premessa: «Il problema non è solo dei padri, è che un evento del genere porta all’ impoverimento generale della famiglia. Sicuramente il padre che se ne va è disagiato, ma lo è anche chi rimane e vivere con un assegno non è certo facile. Quello che io vedo come il problema vero è la casa, anche se oggi le cose sono molto migliorate per i padri e la nuova legge riserva loro molta più attenzione». Aggiunge Irene Bernardini, responsabile del centro GenitoriAncora: «Sono quei filoni che vanno un po’ di moda… perché l’ economia dimezzata è un problema per tutti. La povertà, purtroppo, è uno degli effetti collaterali della separazione». Gustavo Pietropolli Charmet, da psicanalista, mette in risalto anche un altro aspetto, la maternizzazione del ruolo paterno: «Il padre di oggi – dice – ha una relazione molto più stretta con i figli e percepisce un senso enorme di perdita quando deve rinunciare alla quotidianità. Si sente sempre defraudato, ho bisogno di far vedere a tutti la sua sofferenza e anche la sua povertà, arriva perfino a presentarsi come un barbone per enfatizzare la propria condizione. Mentre era ben nota la depressione materna che seguiva una separazione, oggi emerge il vittimismo paterno, è come se la separazione avvenisse tra due madri e tutte e due sono in lutto». Eppure, in giro per l’ Italia, molto si sta muovendo intorno a quello che appare come un problema sociale emergente. Se a Bolzano è arrivata perfino la televisione coreana a riprendere la casa di accoglienza per i padri separati, la Regione Liguria è stata la prima ad approvare una legge che mette nel bilancio 2009 alcuni milioni di euro per case temporanee, politiche abitative orientate e sostegni di carattere psicologico e legale alle famiglie che si rompono. Alessio Saso, di An, l’ aveva proposta con il titolo di «misure a carico dei padri separati» e ha ottenuto i voti di tutti i consiglieri cambiando il titolo in un più generico «sostegno per i genitori separati». Dice: «Non volevo che fosse una legge contro le donne, né che fosse rivendicativa; credo solo che sostenere i padri sia importante per consentire loro di continuare a fare i padri. E chi deve lasciare la casa e girare metà stipendio alla ex moglie entra in una situazione di sofferenza tale che gli fa perdere anche la dignità di presentarsi davanti ai figli». A questi “orfani bianchi” ha pensato anche, pur stando politicamente dall’ altra parte, la Provincia di Milano. Francesca Corso, ex Pdci, assessore ai diritti dei cittadini, ha aperto Giopà (che vuol dire “un giorno con papà”), uno spazio per consentire a padri e figli di passare insieme il tempo: «La presenza dei padri nei dormitori pubblici è un fatto e rendersi conto di questo nuovo fenomeno non è né di destra né di sinistra», spiega. «Chi va a vivere dai genitori e si sistema in un buco, dove passa il tempo con i bambini? Al bar, al supermercato? Sicuramente nella separazione l’ anello più debole resta la donna, ma ci sono anche problemi concreti che riguardano gli uomini e la società ha il dovere di affrontarli». Corso sta lavorando anche a un’ altra ipotesi, quella di aprire una casa per i papà separati che non sanno dove andare. La stessa strada che intende percorrere Mariolina Moioli, assessore alle Politiche Sociali del Comune di Milano che in occasione della presentazione del piano antifreddo, generalmente destinato alle esigenze degli homeless, ha acceso i riflettori su questa categoria di nuovi poveri: «Pensiamo – ha detto – di affidare gli stabili confiscati alla mafia ad alcune associazioni affinché li trasformino in alloggi temporanei per i padri che hanno perduto la casa». Domani Mario porterà al Giopà i suoi bambini. Fuori fa freddo, la sua nuova casa sono due stanze arredate, tristissime e lontane dal centro. Lì dentro invece ci sono giocattoli di legno, colori, bibite e dolcetti. Ci sono anche tanti altri come lui e i suoi figli. «I nostri padri – racconta Cristina Ursino, educatrice del centro – arrivano da tutte le classi sociali, dall’ operaio all’ avvocato, con una cosa in comune: quella di non farcela più con i soldi che guadagnano». E quella di fare uno sforzo sovrumano per sembrare ancora quello che erano e che oggi non sono più.

 

fonte: repubblica.it

 

articolo di CINZIA SASSO